La parità di genere nel mondo del lavoro è ancora lontana nel bel Paese, con trattamenti lavorativi molto diversi tra donne e uomini.
L’Italia si posiziona, infatti, al quattordicesimo posto in Europa nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato da EIGE (European Institute for Gender Equality).
Un ritardo, però, che non riguarda soltanto il nostro Paese. Dall’annuale report sul gender gap pubblicato dal World Economic Forum, infatti, risulta che nel 2022, a livello mondiale, il divario di genere è stato colmato per il 68%, una percentuale ancora bassa per il raggiungimento dell’effettiva gender equality e per cui, si stima, occorrerebbero addirittura altri 132 anni. Nessun Paese, quindi, spiega il rapporto, ha ancora raggiunto la piena ed assoluta eguaglianza tra uomo e donna, eccezione fatta per l’Irlanda dove il divario risulta essere meno accentuato (qui è colmato per il 91%).
Sono diversi gli aspetti che riguardano il gender gap: divario economico e retributivo, differenti opportunità lavorative, diverso trattamento nei ruoli svolti, disparità di ore lavorate dai due sessi. Ad alimentarlo anche un numero minore di donne che lavorano in ambito technology – attualmente tra i campi maggiormente in crescita nel mercato. Questo determina spesso la sospensione o l’interruzione di carriera legate alla maternità o all’assistenza di familiari, le dimissioni volontarie a causa di difficoltà riscontrate nel conciliare al meglio vita lavorativa e privata, i pregiudizi nella selezione del personale.
Relativamente all’aspetto retributivo, l’indice del divario tra il genere femminile e quello maschile si riferisce allo stipendio lordo medio, a parità di funzioni e ruoli lavorativi svolti. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, in Italia il gap salariale si attesta intorno al 16,5%. E il divario non riguarda unicamente la retribuzione ma anche la condizione secondo cui alcune posizioni ai vertici sono riservate quasi esclusivamente agli uomini, discriminando così la crescita professionale di molte donne. La conseguenza è che solo il 28% di donne ricoprono ruoli manageriali. Elevata anche la percentuale di donne disoccupate ed in numero maggiore rispetto a quella maschile: su 23,3 milioni di italiani che a gennaio 2023 risultavano occupati, infatti, 13,43 sono uomini e 9,87 sono donne, con 7,9 milioni di inattive e 1 milione e 30 mila disoccupate. Ciò nonostante, l’occupazione femminile registra miglioramenti rispetto alla fase più acuta della pandemia, quando era calata sotto la soglia del 50%. Il dato resta comunque molto distante dal 62,7% della media europea.
Gli strumenti per contrastare la disparità di trattamento tra uomini e donne esistono e in alcune realtà aziendali andrebbero potenziati. Tra le priorità, favorire politiche di sostegno alla maternità, prevedendo lo smart working per le lavoratrici – madri; implementare gli asili interni alle aziende o sussidi economici come il bonus asilo; prevedere percorsi di carriera taylor made, che tengano conto delle esigenze legate a famiglia e lavoro; sostenere la leadership femminile e consentire alle donne di ricoprire posizioni di vertice; garantire una maggiore parità a livello retributivo, basandosi su criteri meritocratici condivisi e trasparenti; attivare azioni concrete per condividere, attraverso una coinvolgente comunicazione interna, la cultura della gender equality in azienda.
Tematiche, queste, che negli ultimi anni hanno assunto notevole rilevanza a livello sociale ed imprenditoriale, con l’auspicio che il gender equality possa divenire presto un pilastro intorno al quale costruire una società ed un mondo lavorativo più sano.